STORYTELLING FOTOGRAFICO
STORYTELLING FOTOGRAFICO – 1: Principiando
La storia della BB#321 è iniziata più di un anno fa, quando con quattro secchi di plastica e 4 tavole di legno ci siamo immaginati il posto dove mettere la nostra Panchina Gigante. La nostra proposta è stata accolta dalla Fondazione Big Bench Community Project il 3 ottobre del 2022 e abbiamo ricevuto i progetti esecutivi il 21 dello stesso mese. Non è stato un percorso facile, ma quello che conta è che alla fine ci siamo riusciti.
Trattandosi di un progetto condiviso, abbiamo cercato di far partecipe tutta la comunità e tutti insieme abbiamo fatto delle scelte. A partire dal luogo in cui è stata posizionata la panchina. Oltre ad alcuni requisiti che dovevano essere rispettati per entrare a far parte del circuito ufficiale delle Big Bench (ad esempio uno spazio per parcheggiare le macchine ed un esercizio pubblico nelle vicinanze della panchina che potesse fornire assistenza ai visitatori) l’aspetto fondamentale da prendere in considerazione era il panorama. E il luogo che abbiamo scelto è davvero formidabile, uno dei panorami più belli che si possano ammirare in Toscana nel corso delle 4 stagioni!
La Big Bench #321 di Cavriglia-Montegonzi si trova in località La Forra, sul versante valdarnese dei Monti del Chianti (circa 40 km da Arezzo, 42 km da Siena, 54 km da Firenze). Dalla nostra panchina si può ammirare lo stupendo borgo medievale di Montegonzi e si vedono tutto il Valdarno, il Pratomagno e gli Appennini Centrale e Meridionale, fino al Monte Vettore (2476 m) situato sui Monti Sibillini, al confine tra Umbria e Marche, ad una distanza lineare di ca. 145 km.
La procedura di richiesta prevedeva che venisse scelto un colore (le Panchine Giganti devono essere tutte diverse o presentare combinazioni diverse di colori). Dopo un consulto interno al Direttivo dell’Associazione abbiamo scelto l’arancione per la seduta e il verde per il telaio. L’arancione perché è il colore ufficiale del Sereto Calcio, a cui tutti i montegonzesi sono legati da un profondo affetto.
Ma la storia vera, da raccontare, è quella della realizzazione della Big Bench, che è cominciata questo agosto. Avremmo potuto commissionarne la costruzione a dei professionisti, in molti lo hanno fatto, spesso per necessità. Ma noi abbiamo optato per la soluzione più difficile, l’abbiamo realizzata in proprio, attingendo alle maestranze e agli “artigiani” montegonzesi, potendo contare sulla grande disponibilità di Ernesto Benini ed il supporto economico fondamentale de La Forra. E la soddisfazione nel vederla lì, finita, è stata enorme. La vittoria di una comunità che, con tutti i suoi limiti (perché molto piccola e molto “variegata”) si è dimostrata più viva che mai, in grado di mobilitare tanti suoi membri, ciascuno con il proprio contributo volontario, le proprie conoscenze, il proprio tempo, ma soprattutto un grande spirito di partecipazione. Perché questa è una storia collettiva.
STORYTELLING FOTOGRAFICO – 2: Il Ferro ed il Legno
Di fabbri a Montegonzi in passato ne abbiamo avuti uno su tutti. Era BEPPE, che ha dato persino il nome ad un toponimo. Infatti salendo da Cavriglia, prima di arrivare a Montegonzi, si passa per “Il Fabbro”, luogo dove si trovava la sua officina.
Ma la lavorazione del ferro a Montegonzi si è trasformata persino in “arte”. Cosa era Carlo Minatti (detto CINO) le cui opere in ferro possono essere ammirate nell’OffiCINO e lungo le vie del paese, se non un fabbro? Un grande artigiano divenuto artista.
La tradizione di lavorare il ferro si è comunque mantenuta nelle sapienti mani di Franco Minatti detto TRACCO (manco a farlo a posta fratello gemello di Cino) e di Luciano detto il SECCO. Da veri artigiani, hanno plasmato e modellato il telaio della panchina, seguendo nei dettagli il progetto fornitoci dalla Fondazione e con l’aiuto fondamentale di Riccardo detto i’ CIAN, David detto i’ MELA, Carlo detto CIANTELLA, Alessandro detto GANO, Domenico (così e basta) la panchina ha preso forma un pezzo alla volta, all’Ardenza, sotto gli occhi discreti delle persone, che passavano e chiedevano lumi. Vederne il telaio finito, in piedi, è stato davvero emozionante.
E poi il legno. I falegnami storici di Montegonzi sono stati due. DUMAS e GELIO. La loro è una storia nella storia. Quando ancora la politica era una cosa seria, il primo era esponente della Democrazia Cristiana, il secondo del Partico Comunista. Potete immaginare la loro convivenza in un paese così piccolo. Ma nonostante tutto, come raccontava sempre Gelio, quando Dumas fu ricoverato in ospedale per un problema di salute ed ebbe necessità di una trasfusione, indovinate chi fu a donargli il sangue? Gelio, ovviamente, che ricordava sempre come Dumas riprese colore una volta che il sangue rosso comunista andò a mischiarsi con quello bianco democristiano. Gelio faceva di cognome Valentini, come il nipote Divo (detto il GATTO) e il bisnipote Stefano (detto il GATTINO, come ovvio in questi casi) che nel segno della tradizione familiare, si sono occupati del legno della Big Bench.
Ma anche il legno utilizzato ha una sua storia. Avremmo potuto comprare quei tavoloni di abete molto economici, che si spaccano a guardarli da quanto sono verdi. Ma abbiamo preferito una soluzione diversa. Delle nove tavole impiegate, 6 sono di pioppo e ci sono praticamente state regalate da Carlino Capacci, grande lavoratore di legno grezzo. Le rimanenti tre vengono da molto lontano, sono di noce italiano, splendide, e ce le ha donate Stefania Ciolli. Erano tra le tavole che suo padre, Mario, Dirigente della Guardia Forestale, aveva fatto arrivare a Montegonzi dalla Sila negli anni ’80.
Visti gli spessori e le dimensioni di queste tavole siamo ricorsi all’aiuto di Stefano Benucci, titolare di Os.Ma Arredamenti e di Alberto Mancini il suo collaboratore, e siamo andati nel loro laboratorio per tagliarle e portarle a spessore. E non si dica che il legno non era stagionato…una delle tavole in noce ha bruciato il fusibile di una delle macchine da quanto era dura!
Rimaneva la scala. Per la scala abbiamo invece usato il legno di una farnia tagliata al Capezzi, che è stato lavorato nel laboratorio di Gelio (che la figlia Leonella Valentini ha conservato praticamente intatto) con l’aiuto di Gino detto i’ PULCE artigiano del legno, molto amico di Gelio.
Pur essendo legno di qualità, le tavole presentavano delle imperfezioni, quindi le tavole sono state stuccate con la miscela di colla e segatura di Gino.
Infine via con la verniciatura: impregnante, prima e seconda mano. Fattoooo!
STORYTELLING FOTOGRAFICO – 3: Montaggio e posizionamento
Ed eccoci arrivati all’ultima puntata della nostra storia fotografica!
Rimaneva da assemblare il telaio con il legno. Le indicazioni della Fondazione sono molto chiare: la Big Bench non deve essere visibile al pubblico fino al momento della sua presentazione al pubblico. Il telaio in bella vista all’Ardenza cominciava ad essere “ingombrante”. Perciò abbiamo deciso di “nasconderlo” in un luogo meno accessibile, ed è stato trasportato a Busi. Ma il trasporto non è stato per niente facile. Sono stati necessari tutto l’ingegno di Paolo detto il MUSTA, il suo trattore e la sua attrezzatura degna di Archimede. E solo dopo manovre, durate qualche ora, che hanno coinvolto diversi “logisti”, la panchina ha iniziato il suo viaggio. È stato surreale vederla transitare per le vie del paese, sotto lo sguardo attonito dei passanti.
Il telaio era pronto per la filettatura dei fori delle tavole e per la verniciatura. La prima operazione è stata condotta con maestria da Paolo e Riccardo, che ci hanno speso un paio di giornate sane, tra misure, fori e qualche “santione”. Ma la visita ai lavori di Don Giovanni ha permesso loro di ottenere l’assoluzione, motivata dalla buona causa. Per la verniciatura Stefano ha lottato strenuamente contro i tafani, che inspiegabilmente attirati dalla vernice si andavano continuamente a spiaccicare sul telaio.
Mentre telaio e tavole venivano lavorati in paese, ERNESTO e VALERIO hanno sistemato la “terrazza” della Forra. Pulisci, spiana, muovi terra, sposta sassi, risistema la staccionata e riverniciala. Anche questo un gran lavorio e tanto sudore, ripagato però da quella “finestra aperta sul Valdarno”.
Poi, con il trattore di Paolo, il telaio verniciato è stato trasportato a La Forra, dove Valerio, con il suo mezzo meccanico, ha fatto le buche per i plinti di cemento. L’orientamento SO-NE della panchina è stato scelto con cura, per permettere ai visitatori la miglior visuale sul panorama. Paolo e Valerio con i loro attrezzi, e Riccardo in qualità di “geometra ad honorem” hanno con cura proceduto a calare la panchina sui bulloni di fissaggio.
Le tavole verniciate hanno raggiunto il telaio per il montaggio definitivo “ben coperte e al caldo”. Siamo ricorsi al mezzo meccanico più affidabile per questo genere di operazioni: la Panda con portabagagli!
Una volta a La Forra, le tavole sono state fissate sul telaio senza problemi e i nostri occhi si sono riempiti di arancione e verde. Una sensazione temporanea, perché il mattino successivo qualcuno dalla finestra di casa si è subito accorto che il panorama di Montegonzi era cambiato (sob!…). Perciò, per rispettare le procedure e le tempistiche di presentazione al pubblico concordate con la Fondazione BBCP, abbiamo pensato che fosse meglio nasconderla in qualche modo. E quindi l’abbiamo coperta, anche approfittando del cambio di stagione e l’arrivo della pioggia.
Non rimanevano che le rifiniture: la ghiaia a terra, la staccionata e i pannelli. E poi le indicazioni, che Emma e la Dida hanno curato nei minimi dettagli.
Alla fine ci siamo persino permessi un cestino di antiquariato, ricavato in un vecchio bigoncio restaurato.
Nelle botteghe artigiane di un tempo, gli apprendisti in prova dovevano compiere un “capolavoro” prima dell’assunzione definitiva, per dimostrare le abilità professionali acquisite. Il nostro capo d’opera è stato realizzato, e alla fine non ci siamo fatti mancare neanche le (auto)celebrazioni.