Don Romano Macucci
Ciò che emerge leggendo i diari di Don Romano Macucci è la sottile vena di disillusione che ne guida la stesura. In parte ciò si deve al fatto che quando don Romano compila le sue note ha lasciato Montegonzi da un pezzo e parla della sua esperienza parrocchiale non nel momento in cui la vive, ma a distanza di tempo, e quindi con un vissuto ormai rielaborato e sedimentato nel ricordo. Leggiamo infatti nel suo diario: “Il brutto di questa cronaca parrocchiale è che viene scritta a distanza di anni e quindi tanti avvenimenti di cronaca minima sono passati nel dimenticatoio; rimangono soltanto le cose più emergenti. Nel rileggere queste carte ci si rende conto che questa parrocchia si muove per forza di inerzia. Non sono consentite iniziative di sorta perché mancano i ricambi: reggono le vecchie feste ormai cristallizzate, come i vecchi muri scortecciati del paese, quindi tutto assume un tono di monotonia che il tempo scandisce in maniera irreversibile” . In un altro brano dice: sempre più mi accorgo che tutto rimane come prima, anzi peggio di prima. La gente mostra sempre più stanchezza verso il lato religioso. E’ rimasta quella presenza abitudinaria a quella “messuccia” domenicale e poi non chiedere più nulla…..Si nota una rarefazione di frequenza alla confessione. E tu prete che ci stai a fare? Tempi veramente difficili i nostri!” Il nodo irrisolto dei rapporti tra don Romano e la sua parrocchia, sta forse, proprio qui: i tempi che cambiano. Il benessere sociale, derivato dal boom economico, comincia a produrre, e rende sempre più vistoso, lo spopolamento delle campagne e la progressiva e irreversibile laicizzazione della società. I modelli sociali e culturali si mondanizzano e così don Romano si trova a fare i conti con una parrocchia in trasformazione: gli abitanti diminuiscono, la popolazione invecchia, le scarse giovani leve sono sempre meno assidue alla pratica religiosa e la chiesa perde gradualmente e in modo drammatico quel forte ruolo di guida e di indirizzo della vita pubblica e privata che era stato per secoli sua prerogativa. Don Romano è un prete molto giovane, appena ventottenne, quando il Vescovo lo chiama a sostituire Don Giorgio Mannucci nella parrocchia di S. Pietro a Montegonzi. Proveniente da Greve, dove era stato cappellano, Don Romano Macucci arrivò nella sua nuova parrocchia, il 1° maggio 1966.
“…Quando giunsi a Montegonzi avevo con me i miei genitori: Igino Macucci e Maria Cresti di Selvole, nel comune di Radda, paese nel quale nacqui il 21 febbraio 1938 e dove cantai la prima messa l’8 aprile del 1962.” “Al momento della mia presa di possesso la situazione beneficiale era la seguente:
– Le anime erano 479;
– La frequenza alla SS Messa, venivano celebrate 3 messe, era del 40% circa della popolazione;
– Esistevano i due rami giovanili dell’Azione Cattolica: una quindicina di giovani e altrettanti ragazzi. La scuola di catechismo veniva fatta da due ragazze prima della scuola pubblica;
– I contadini di Poggio alle Monache, Mulina, La Selva e Camenata venivano raramente alla S. Messa,
– Una quarantina di uomini non veniva mai alla S. Messa;
– La chiesa era in ottime condizioni ed anche la canonica, fatta eccezione di qualche parte dei tetti;
– Era in efficienza il cinema parrocchiale che veniva fatto al sabato sera; la frequenza era piuttosto ridotta, in quanto che i giovani, quasi tutti dotati di automezzi, si portavano ai cinema cittadini.
Dei tre poderi della chiesa solo uno aveva il contadino, cioè il podere di S. Pietro; il podere Villole era ridotto ad un macchiaio ed era affittato per 30 mila lire annue. Sereto era in affitto all’ingegner Polsinetti proprietario della Forra per 200 mila lire annue. Il beneficio parrocchiale non aveva congrue, di conseguenza nei primi due anni e mezzo mi trovai in difficoltà finanziarie”. Con Don Romano, tutte le iniziative che avevano caratterizzato la parrocchia di Montegonzi all’epoca dei suoi due predecessori gradualmente si concludono. Cessa definitivamente l’attività del cinema, iniziata, nel 1925, all’epoca di Don Grifoni e poi ripresa da Don Mannucci, perché gli spettatori sono molto diminuiti e don Romano è rimasto solo ad azionare la macchina: “I giovani operatori, uno dopo l’altro, se la sono svignata tutti”. Finiscono la befana e il carnevale dei bambini, la sede viene abbandonata e, dopo un estenuante tira e molla, ai ragazzi viene proibito di giocare a pallone nel piazzale della prioria. Anche le istituzioni parrocchiali, a cominciare dall’Azione cattolica, conoscono una crisi irreversibile e a proposito della Compagnia della SS Annunziata don Romano dice: “: è un’istituzione che aveva nei tempi passati degli scopi seri; l’adorazione del SS Sacramento ed il servizio dei fratelli ma purtroppo oggi non è più sentita. Sono ancora una quarantina i fratelli della Compagnia, ma solo 10 prestano servizio: l’attività annuale della compagnia si esaurisce a tutt’oggi a queste cose: festa della SS Annunziata, fare i turni alle quarant’ore, prestare servizio alle processioni e ai funerali, far celebrare 10 messe in suffragio dei fratelli e delle sorelle ridotte in seguito a messe”. L’elemento di aggregazione più forte utilizzato da don Romano per fare comunità sono le gite: In 13 anni di permanenza a Montegonzi ne organizza più di venti: sono pellegrinaggi come a Roma e Lourdes, visite a chiese e santuari quali Sant’Apollinare in Classe e la Madonna di Montallegro, ma anche visite ad alcune fra le più belle località italiane: Roma, Venezia, Trieste, Napoli, Capri, Pompei, Rapallo, Isola d’Elba, Gubbio e le grotte di Frasassi, Verona, lago di Garda, fino a spingersi oltre confine in visita al lago di Lugano e alle grotte di Postumia. Da ricordare è la gita a Redipuglia e Oslavia fatta per riportare i vecchi fanti sui luoghi della prima guerra mondiale alla ricerca delle tombe dei caduti di Montegonzi. Nel 1967 tra il mese di luglio e quello di settembre iniziano e sono portati a compimento i lavori per la costruzione di un nuovo pallaio a due piste, nella “grotta” della prioria. “Da parte di alcuni comunisti del circolo comunista con sede sotto il palazzo del Bindi, mi viene chiesto il permesso di fare un pallaio nella grotta prospiciente al piazzale della Chiesa: autorizzo l’iniziativa”. Il pallaio sarà negli anni successivi, e fino alla sua dismissione, uno dei luoghi di ritrovo più frequentati nella stagione estiva non solo dagli appassionati del gioco delle bocce, ma da buona parte della popolazione che, nelle sere d’estate amava fermarsi al fresco dei cipressi del Cassero e, tra una chiacchiera e l’altra, guardare le partite e fare il tifo per i giocatori. Nel 1968 Si verifica la fusione dei due circoli paesani In proposito don Romano dice: “Assistiamo in quest’annata alla fusione dei due circoli: i rossi avevano la loro sede nel fondo del “Palazzo del Bindi” e la Filarmonica in via Bartolo da Montegonzi. La fusione, fu suggerita a più riprese dal maestro Marcello Cioni e da Piero Mini. Io non influii per nessun motivo, soltanto, interpellato dal maestro, espressi che vedevo bene questa fusione, manifestando qualche riserva per l’avvenire per quanto riguardava l’intesa tra le parti avverse”. Altro fatto di rilievo del 1968 è l’apertura a Montegonzi, dell’asilo infantile comunale. Don Romano dice “E’ stato un fulmine a ciel sereno perché Montegonzi povero di bambini quanto quest’anno non era mai stato: sono 13 bambini soltanto! Grazie all’interessamento del sindaco di Cavriglia, sig. Antonio Camici del PCI, Montegonzi ha l’asilo, ma si sa da fonti certe che il Sindaco ha usufruito di una legge che permette l’erezione di asili in comuni sprovvisti, per cui l’asilo di Montegonzi avrà vita corta e sarà trasferito tra qualche anno a Cavriglia. Infatti, l’anno successivo l’amministrazione comunale dispone di portarlo nel capoluogo, ma il provveditore agli studi ordina al sindaco che l’asilo rimanga a Montegonzi. Scrive don Romano: “Non sappiamo chi abbia sollecitato il provveditore, però ho piacere che l’asilo rimanga quassù. Non riesco a capire perché si debba tutto accentrare nei paesi più grandi, facendo morire, così, i più piccoli”. Tuttavia, nonostante le resistenze del paese, all’inizio dell’anno scolastico 71-72 l’asilo viene trasferito a Cavriglia. Legata al nome di Don Romano è la costruzione dell’altare “coram populo” avvenuta tra il 1969 e il 1970. I lavori sono affidati a due muratori di Montegonzi: i fratelli Otello e Oliviero, detto Gusmano, Tanzini. “Con le colonnette degli altari laterali furono fatte le gambe del nuovo altare. La Mensa in legno fu fatta da Gelio Valentini, che non viene mai in chiesa. Tutto il presbiterio fu impiantito con mattonelle di marmo. Per ciborio fu scelto dall’architetto Polisello, l’urna del Giovedì Santo tutta in legno in stile barocco e restaurata da un certo Lanciotto Balsimelli di Montevarchi, il quale decorò pure i puntoni degli altari, rimasti ormai inutili. La spesa si aggirò sulle 300mila lire. Durante la visita per la benedizione delle case chiesi le offerte per i lavori e raccolsi circa 200mila lire.” Un’altra iniziativa di Don Romano è l’acquisto di un organo che andò a sostituire l’armonium usato in chiesa nelle liturgie. Le canne dell’organo furono sistemate in una cantorìa, oggi non più esistente, appositamente costruita sopra il portale d’ingresso. Da un punto di vista liturgico don Romano registra che: “Nell’aprile 1970, cessa la celebrazione della terza messa festiva, anticipata, con autorizzazione del Vescovo al sabato sera alle 20. Tale anticipo fu chiesto dai cacciatori”. Nei primi anni Settanta nasce la Minibanda formata dagli allievi delle scuole di musica tenute dal maestro Lido Campani a Cavriglia e Montegonzi. I ragazzi di Montegonzi che vi partecipano sono 10. In proposito don Romano scrive:“E’ da notare come il comune di Cavriglia, ha preso in mano la minibanda e cerca di fare nuove iniziative per distaccare i giovani dall’attività parrocchiale. Il contatto con i cavrigliesi genera un’assenza nel servizio liturgico. I giovani privati del gioco del pallone nel piazzale dimostrano nei miei confronti un notevole distacco”. Nel 1974 avviene la locazione della casa colonica di Sereto agli Scout di San Giovanni Valdarno. Don Romano scrive ”…..Devo dire che Sereto essendo andato deserto all’asta per un estimo di 12milioni di lire, viene dato in affitto come sede straordinaria agli Scouts di S. Giovanni V.no, guidati da don Roberto Pagliazzi. La sezione di questi Scouts ha pensato al restauro del solaio della cucina, alla demolizione della porchereccia, alla sistemazione del tetto della chiesa e alla sistemazione delle altre stanze. Gli scouts terranno Sereto facendo la manutenzione dei locali”. Negli anni che vanno dal 1976 al 1979 don Romano, come dice lui stesso, si dedica a grandi lavori agricoli: “Acquistai infatti un trattore e lavoravo le vigne del Prato e di Broccolo e di S. Pietro, dato in affitto a Turini Umberto.” Nel 1978, un avvenimento doloroso, la morte del padre Igino, contribuisce ad acuire quel senso di disagio nei confronti della parrocchia che sempre più evidente emerge dal diario. In proposito scrive: ”… Rimanemmo soli io e mia madre. Devo dire, ad onor del vero, che la popolazione di Montegonzi non mi fu vicina, ad accezione di alcune famiglie, nei giorni in cui mio padre fu all’ospedale e questo creò in me uno stato di disaffezione alla parrocchia”. L’anno dopo si conclude l’esperienza pastorale di Don Romano a Montegonzi: “il sabato 13 ottobre, alle ore 17, lasciai la parrocchia di Montegonzi, per fare l’ingresso in quella di Castelnuovo dei Sabbioni. Furono 13 anni e 5 mesi gli anni che fui parroco di Montegonzi: poche le gioie, discreti dolori, molto lavoro manuale, tuttavia credo, di non aver tradito quelle parole che pronunciai al mio ingresso: sono venuto per servirvi nella fede di Cristo”.