I Mestieri

I mestieri di una volta a Montegonzi

La presente ricerca si colloca nel solco del progetto avviato nella comunità di Montegonzi per la ricostruzione della memoria locale, e si propone di dare un modesto contributo alla conservazione della tradizione e dello spirito originario di questa piccola comunità. L’intento è quello di riportare alla luce alcuni dei mestieri che venivano praticati nella comunità di Montegonzi nel periodo che va dal 1920 al 1980, in un contesto sociale ed economico ben diverso da quello attuale, tanto che i più giovani potrebbero non averne mai sentito parlare, mentre i meno giovani li hanno conosciuti nella loro fanciullezza, e oggi sono in grado di ricordarceli. Grazie a questi racconti vogliamo anche ricordare le persone che tali mestieri hanno svolto, inconsapevoli attori del nostro modesto percorso culturale, e perciò tanto più degni del ricordo e del rispetto che si ritiene dover loro attribuire. Che cosa è un mestiere? Il devoto-oli così lo definisce: “l’attività specifica, di carattere per lo più manuale, esercitata abitualmente a a scopo di guadagno”. Difatti fino a qualche tempo fa quando una persona esercitava un lavoro di tipo manuale per guadagnarsi da vivere si diceva esercitasse un “mestiere” e spesso la persona stessa si identificava con il mestiere esercitato. Accadeva che anche un luogo prendesse il nome del mestiere che lì si svolgeva: il crocevia fra la strada principale che porta a Montegonzi e la vecchia via di fontebussi è ancora oggi indicato come “bivio del fabbro” a testimoniare che lì ferveva un’importante attività artigianale. I mestieri qui rappresentati, fabbro, falegname, calzolaio, barbiere, mugnaio, lattonier-stagnino hanno subito grandi cambiamenti e taluni sono addirittura scomparsi nella forma in cui li ricordiamo: ad esempio fabbro e il maniscalco hanno ceduto il posto all’officina meccanica, così come l’artigiano falegname è stato soppiantato dall’industria del mobile. Del resto era inevitabile che nell’arco degli ultimi cinquant’anni i mestieri modificassero le loro caratteristiche strutturali e si trasformassero radicalmente, quasi di pari passo con l’evolversi e il mutare della società, dell’economia, della tecnologia e del lavoro di cui erano espressione, e con il cambiare delle abitudini e delle esigenze degli individui e delle famiglie in una direzione evidentemente consumistica. Antichi mestieri, dunque, alcuni dei quali quasi del tutto estinti o comunque profondamente mutati. Mestieri che al giorno d’oggi non hanno più quell’importanza economica che aveva in origine e che per perpetuarsi hanno dovuto cambiare le loro specificità. I mestieri che si praticavano a Montegonzi, in un contesto tipicamente contadino, presentavano certamente caratteri peculiari rispetto ai mestieri analoghi svolti nelle città o nei paesi della vallata, in quanto si adattavano al modello di economia prevalente, quella agricola, e rispondevano fondamentalmente alle esigenze della vita e del lavoro dei contadini: ecco così il falegname che si specializza nella costruzione dei carri o botti; il calzolaio che fabbrica prevalentemente robusti zoccoli e scarponi; il fabbro maniscalco che forgia vanghe, zappe e ferri per buoi; il mugnaio che macina il grano prodotto nei poderi circostanti. Ciò che accumuna le figure degli artigiani che si rammentano in questa ricerca è che l’attività da loro esercitata e svolta non in forza di un rapporto duraturo o a tempo indeterminato con un padrone o un datore di lavoro, ma su specifica commissione di un cliente. Ognuno di questi artigiani aveva la sua bottega, ricavata in un fondo o in un angolo della casa, e ognuno aveva i suoi attrezzi di lavoro acquistati, costruiti in proprio o ereditati dal maestro, che custodiva gelosamente e con cura, una cura forse maggiore di quella che si impiega oggi, perché in qualche caso la perdita di un attrezzo poteva comportare un sensibile costo per il riacquisto, difficile da sostenere. Per tale ragione molti degli attrezzi sono giunti fino a noi, conservati dai discendenti o dagli allievi, e possono essere esibiti. Perlomeno fino agli anni ’60, gli strumenti e gli attrezzi da lavoro erano tutti manuali, non dotati di motore elettrico. Spesso l ‘artigiano prendeva a lavorare con sé nella bottega un giovane garzone, il quale collaborava nell’esecuzione delle varia attività manuali, e nel contempo poteva imparare il mestiere. Dice un proverbio: impara l’arte e mettile da parte. E così il bravo garzone che aveva saputo rubare con gli occhi, facendo propria l’esperienza del maestro, era poi in grado di portare avanti la bottega o di mettere su la propria. Il corrispettivo dei servizi o delle opere di questi artigiani era talvolta pagato non in denaro, ma in natura, specialmente quando la clientela era costituita dai contadini membri della comunità. Si cita ad esempio il fabbro maniscalco, il cui compenso era determinato annualmente in riferimento ai servizi svolti nel corso dell’anno, e in pagamento dello stesso si autorizzava il prelievo di una certa quantità di uva, olive, grano o altri prodotti del podere. Su un piano diverso e al di là della speculazione storico culturale, la ricerca può dare spazio anche ad altre riflessioni, di rilievo moderno e di natura economica. Secondo alcuni studi fatti, soprattutto in un periodo di crisi occupazionale, le attività artigianali e l’apprendistato potrebbero rappresentare uno strumento idoneo a creare buone occasioni di lavoro per giovani e adulti disoccupati, ove adeguatamente coordinate e sostenute con risorse appositamente stanziate. In diverse regioni d’Italia sono nati progetti di valorizzazione e recupero degli antichi mestieri (Liguria, Toscana, Sardegna, Lazio, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Provincia Autonoma di Bolzano), mirati a realizzare interventi coordinati volti al mantenimento di posti di lavoro e alla creazione di nuova occupazione nell’ambito dei mestieri tradizionale di qualità a rischio di estinzione. Dunque uno sguardo al passato per costruire il futuro.

 

 

SECONDO CAVEZZUTI (barbiere)

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SECONDO CAVEZZUTI (barbiere)

Detto Sandrini (11/01/1892 – 17/08/1972)

Secondo Cavezzuti, detto Sandrini, perché figlio di Sandro, era nato alla Forra nel gennaio del 1892. Al lavoro di miniera affiancava quello del barbiere, mestiere che aveva appreso durante la guerra di Libia, tra il 1911 e il 1918. Era conosciuto e apprezzato da tutti per la sua allegria e socievolezza, e la sua bottega era un punto di ritrovo per ridere e divertirsi. Secondo Cavezzuti è morto a montegonzi nell’agosto del 1972.

ADRIANO TANZINI (mugnaio)

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ADRIANO TANZINI (mugnaio)

Detto Il mugnaio (26/09/1922 – 10/04/2010)

Adriano Tanzini era nato al mulino del Ghiandelli, sotto Fontebussi, nel settembre 1922. Ultimo mugnaio di Montegonzi ed erede di una professione familiare che si tramandava di padre in figlio, frequentò la scuola a Montegonzi fino alla 5° elementare. All’età di dodici anni rimase orfano di padre e così cominciò a fare il mugnaio con l’aiuto del nonno. A metà degli anni settanta cesso l’attività, ma il mulino rimase per lui sempre un punto di riferimento, il luogo dove coltivava l’orto e teneva animali da cortile. Adriano è stato anche musicante della Società Filarmonica Giuseppe verdi di Montegonzi, come lo era stato suo nonno, suonando il tamburo. E’ morto a Montegonzi nell’aprile 2010.

GIUSEPPE PAGLIAZZI (fabbro)

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GIUSEPPE PAGLIAZZI (fabbro)

Detto Beppe del fabbro o Pistolino (06/07/1907 – 02/09/1988)

Giuseppe Pgliazzi era nato a montegonzi nel 1907. Ancora bambino era stato mandato dal padre ad imparare il duro mestiere del fabbro nell’officina di Fabbrino Fabbrini. Morto il suo maestro ne rilevò l’attività e costruì una propria bottega poco sotto montegonzi, nel luogo ancora oggi chiamato “Il fabbro”, nonostante quel mestiere non vi sai praticato da decenni. Beppe, nel 1978 si trasferì con il figlio parroco a Tosi, dove continuò fino alla fine della sua vita a fare piccoli lavori in ferro battuto. E’ morto a Tosi nel 1988, ma le sue spoglie riposano nel cimitero del suo paese natale.

ORFEO ORLANDI (stagnino e lattoniere)

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ORFEO ORLANDI (stagnino e lattoniere)

(28/07/1909 – 09/04/1988)

Orfeo Orlandi era nato nel 1909 a montegonzi. La data ufficiale di nascita (28 luglio 1909) non è quella vera, a causa di un pasticcio anagrafico. Cominciò presto a lavorare come garzone presso la famiglia Paoletti di Poggio alle Monache, dove conobbe la moglie. Già prima di vent’anni, all’inizio degli anni ’30, imparò il mestiere di stagnino e lattoniere, grazie al tirocinio svolto presso la famiglia Severi di San Giovanni V.no, che conduceva una ditta idraulica. La sua occupazione principale era però quella del minatore mentre praticava l’attività di stagnino a tempo avanzato. Come lattoniere, Orfeo, è ricordato in particolare perla sua capacità di riparare le docce e gli scarichi dei tetti. Suonava il trombone e in qualità di musicante partecipò alla campagna d’Africa. E’ morto a montegonzi nell’aprile del 1988.

DIONISIO PIANIGIANI (calzolaio)

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DIONISIO PIANIGIANI (calzolaio)

Detto Giso (10/04/1904 – 01/09/1956)

Dionisio Pianigiani, universalmente conosciuto con il nomignolo di Giso, era nato nel 1904, da Dorino, estroso venditore di pentoli in terracotta. Giso, durante tutto il corso della sua esistenza, praticò come mestiere principale quello del calzolaio a cui, per arrotondare i magri guadagni, unì anche quello di barbiere. Tuttavia, più che per la pratica di queste due professioni, Giso è ricordato per la sua straordinaria abilità di tamburino che non aveva uguali nell’intero territorio valdarnese. Vanto della Società Filarmonica Giuseppe Verdi, presso cui prestava servizio di musicante, morì nel settembre del 1956.

SILVIO CIONI (calzolaio)

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SILVIO CIONI (calzolaio)

Detto Villole (05/08/1897 – 05/07/1972)

Silvio Cioni nacque nel podere di Muricia, sopra Montegonzi, il 5 agosto 1897. Un incidente occorsogli quando era ancora un bambino lo rese storpio. Questa sua disabilità impedì che fosse avviato al mestiere di contadino, e favorì per contro, lo sviluppo dei suoi innumerevoli talenti: intelligenza, coraggio, intraprendenza, senso degli affari e capacità di correre dei rischi per raggiungere uno scopo. Così nel tempo, impiantò tre esercizi commerciali a cui affiancò per tutta la vita il mestiere di calzolaio, appreso quando era più che bambino, in una bottega di Ventena. Silvio Cioni è morto a Montegonzi nel luglio del 1972.

ANGIOLINO BARTOLOZZI (calzolaio)

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ANGIOLINO BARTOLOZZI (calzolaio)

Detto Pompolino o Maremmacane (06/02/1913 – 14/09/1981)

Angiolo Bartolozzi, più conosciuto come Pompolino, era nato a Montegonzi nel febbraio del 1913. Aveva aprreso il mestiere di calzolaio a Gaiole in Chianti, dove si ammogliò. Alla professione di calzolaio univa quella di banconiere presso il circolo della Società Filarmonica Giuseppe Verdi di Montegonzi. I clienti del circolo scherzosamente lo chiamavano Maremmacane, mutando il soprannome dalla sua imprecazione preferita. Angiolo è morto nel 1981. La sua bottega, per volontà della moglie Cesira, è rimasta intatta, completa di tutti i suoi attrezzi del mestiere, quasi il Pompolino fosse fuori e potesse tornare da un momento all’altro, pronto a riprendere il lavoro.

DUMAS MARTINI (falegname)

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DUMAS MARTINI (falegname)

Detto Dumasse (23/09/1907 – 31/01/1970)

Dumas martini era nato nel settembre 1907. Aveva imparato il mestiere di falegname da un artigiano di Gaiole in Chianti. L’arte della falegnameria per lui non aveva segreti ed era considerato da tutti un vero maestro, in grado di realizzare dai mobili agli infissi, dai piccoli attrezzi agricoli, ai carri, alle botti e ai tini. Di lui si ricorda il carattere aperto e socievole che invogliava, nella bella stagione, a stare a veglia nella sua bottega, dove bambini ed adulti ascoltavano rapiti le lunghe e bellissime favole raccontate da Carlo Turini, detto il “Sordo”, cantastorie del paese. Dumas martini è morto a Montegonzi nel gennaio 1970.

GELIO VALENTINI (falegname)

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GELIO VALENTINI (falegname)

(24/05/1923 – 10/03/2006)

Gelio Valentini era nato nel podere di Mello, in una famiglia di contadini e mezzadri nel maggio del 1923. Il avviamento al mestiere di falegname avvenne relativamente tardi, verso il 1950, quando cominciò a lavorare alla Società Agricola Valdarno (S.A.V.). fu qui, difatti, che non più giovanissimo imparò i rudimenti del mestiere, che perfezionò lavorando per cinque anni nella ditta Scolari di Montevarchi. A Montegonzi aprì un laboratorio nella zona del Mercatale poi trasferito in un immobile di proprietà Selvolini, negli anni ’80 e andato distrutto in un incendio. Come falegname aveva una predilezione per lavorare l’olivo e il ciliegio, il castagno e la farnia, ed era un ottimo e generoso maestro. In ogni casa di Motegonzi si trova un’opera di Gelio: tavoli, fratine, sgabelli, colonne portavasi, vetrine, credenze, scacchiere. Gelio è morto nel marzo 2006.