Testi Critici

Nella sua antica grotta di Montegonzi il grande Carlo Minatti, in arte Cino, artista, scultore, per decenni ha celato un mondo che mostrava con pudore ed enorme tenerezza a chiunque si dimostrasse interessato. Era in quell’atelier di roccia, legno e pietra serena, al buio, nella penombra, che lavorava duramente in silenzio, con il sole e con la neve, con poesia e misticismo, per dare vita ad opere uniche, come unico era lui. Pezzi prevalentemente in ferro (ma anche disegni e ritratti) drammatici e nel contempo semplici, che narravano la fatica umana e la tragedia esistenziale dell’uomo. Attraverso il mondo che ha prodotto, Cino da quando se n’è andato, ormai quasi tre anni fa, continua ogni giorno a ridere di sbieco, un po’ in disparte come voleva lui.

E da allora per lui, per suo fratello Franco e per tutta la comunità di Montegonzi e del mondo globale che ha amato e soprattutto amerà Cino, come Amministrazione Comunale ci siamo presi l’impegno di non disperdere il patrimonio che ha lasciato a tutti: le sue opere, la sua vita, il suo mondo. Lo avevamo promesso a noi stessi in memoria di questo artista che Cavriglia ha avuto l’onore di generare. Dal novembre del 2018 così abbiamo supportato in ogni modo l’Associazione Culturale Per Montegonzi e tutta la comunità per valorizzare la sua arte ed abbiamo inaugurato a giugno 2019 un parco con alcune sculture a ridosso dell’Ardenza del borgo, poi con l’aiuto di molti amici e volontari abbiamo messo a disposizione uno spazio di proprietà pubblica dove i cittadini di Montegonzi hanno realizzato ‘OffiCINO’, un piccolo, grande museo che raccoglie i suoi capolavori all’ingresso del paese. Recentemente poi, sempre supportando l’immenso lavoro della comunità di Montegonzi e dell’Associazione Culturale, con l’aiuto della nostra Amministrazione, le sculture più grandi del maestro sono state installate nel paese in un percorso che permette da una parte di scoprire il fascino del borgo e dall’altra di capire l’immensa arte di Cino, per me un amico prima di tutto, ma soprattutto un maestro. Non poteva mancare un catalogo che narrasse il suo percorso artistico e per questo credo che questa ulteriore iniziativa sia stata fondamentale. Perché il monito per tutti doveva e deve essere soprattutto uno: portare Cino al futuro ed alle nuove generazioni, lui in fondo lo sapeva già quando diceva: ‘Quando la mia arte sarà capita da tutti, avrò lasciato questa terra da tempo’.

Leonardo Degl’Innocenti o Sanni

Sindaco di Cavriglia

Carlo Minatti è stato quello che oggi si definirebbe un outsider, un artista fuori dagli schemi, privo di una formazione accademica o storico-artistica, in grado tuttavia di opporsi, in virtù di una notevole abilità artigianale, alla meccanica e ripetitiva produzione in serie, tanto è vero che in fabbrica gli lasciavano ampi margini di libertà per creazioni personali in ferro. Cino però, come è emerso chiaramente dalle ricerche di Ludovica Muratore, non si accontentava di essere un ‘artista di paese’, benvoluto e amato da tutti, ricordato come una sorta di sfinge accogliente steso sul ‘muro della porta’ all’ingresso di Montegonzi. Lo sguardo buono che gli autoritratti ci hanno consegnato celava in realtà il desiderio insopprimibile e alla fine per certi versi inconfessabile, di inseguire un sogno, di forzare quelle barriere comunicative che lo immergevano nel silenzio, e provare a diventare un artista completo, accettato e riconosciuto come tale, in grado di vivere con e della propria arte. È per questo che compulsava freneticamente riviste e cataloghi, conservati e si potrebbe dire accuditi nello studio-officina, al riparo da occhi indiscreti: sotto il suo sguardo attento passavano talloncini di pubblicità a pagamento (sperando, chissà, di poter intercettare un magnate) e recensioni di mostre, critici di primo piano (Jean Clair) e artisti altrettanto importanti (su tutti, sembrava prediligere Arnaldo Pomodoro). Le luci di una ribalta lontana. Così, l’officina si era tramutata in un osservatorio segreto sull’arte contemporanea, sperando, un giorno, di poterne far parte. Il mondo esterno entrava negli occhi di Cino attraverso le immagini dei periodici e della televisione, da cui parimenti traeva soggetti e ispirazioni (le morti di Gilles Villeneuve e Marco Simoncelli sono alla base dei tributi scultorei intitolati Autuomo e Marco Simoncelli appunto). Negli anni, Cino ha sviluppato un proprio stile, riconoscibile, fatto di lastre e tagli, convessità e concavità, che definiscono opere dal forte carattere astratto, tratteggiando mondi fantastici e irraggiungibili (i panorami ‘astrali’).

La pubblicazione di questo catalogo non sarebbe stata possibile senza il lungimirante impegno del Comune di Cavriglia, non nuovo a iniziative di questo genere, e il fondamentale aiuto di tutti coloro che nel corso del tempo hanno conosciuto Cino e si sono generosamente messi a disposizione della giovane (e capace) studiosa, autrice del volume. Non va infatti dimenticato che questo lavoro ha iniziato a prendere forma qualche anno fa, e precisamente da un incontro in uno studio dell’Università di Firenze, tra lo scrivente e Stefano Valentini. Poco tempo dopo, quel colloquio si è tramutato nell’argomento della tesi di laurea triennale di Ludovica Muratore (sviluppata con la preziosa collaborazione del prof. Cristiano Giometti), attestando un proficuo dialogo tra Università ed enti del territorio, come del resto dovrebbe sempre avvenire nell’ambito di un virtuoso circuito culturale.

Giorgio Bacci

Professore di Storia dell’arte contemporanea Dipartimento SAGAS, Università degli Studi di Firenze

Il sorriso che indossa il mio volto nel veder realizzato questo catalogo è sprigionato dall’emozione e dalla soddisfazione di aver qui raggiunto il risultato finale di una ricerca durata ben due anni e porta con sé il senso di affettuosa compassione, che mi sovviene nel ricordo della prima volta in cui sono arrivata a Montegonzi. Lungo il tortuoso tragitto che sale verso il borgo, mi sono lasciata condurre dai profili sinuosi delle colline del territorio, provando appena ad immaginare quale potesse essere l’aspetto delle opere che, silenziose, mi attendevano nel laboratorio di Cino. Al mio arrivo, ho avuto modo di conversare con gli abitanti del paese, persone che conoscevano l’artista e che ne hanno condiviso la quotidianità. Amici che mi hanno raccontato del suo carattere, della sua personalità, delle sue passioni, del suo modo di scherzare, ma soprattutto del segno che Cino aveva lasciato in tutti loro, insieme alla volontà di volerlo ricordare come una presenza viva del luogo. Solo una volta entrata nella sua officina, la curiosità ha ceduto il posto allo stupore. Mi aspettavo di ritrovare nelle sculture le forme morbide della campagna circostante. Ho invece trovato, pronti a sovrastarmi con la loro potenza, profili spigolosi, tagli netti, grandi geometrie metalliche. Mi è stato chiaro fin dal principio come l’opera di Cino rappresenti un unicum nel suo genere. La ricerca, partendo dall’analisi delle opere e la lettura delle riviste, passando per l’osservazione delle vecchie fotografie, fino alle interviste di chi lo aveva conosciuto, mi ha posta di fronte ad una vasta serie di stimoli e mi ha portato ad esplorare molteplici livelli di analisi dell’artista. ‘Saldare’ insieme tutti questi indizi mi ha permesso di ricostruire la biografia dell’uomo e il suo percorso artistico, permettendo a Cino di essere conosciuto dal pubblico. Da una parte la gratificazione di aver raggiunto un primo, e per me importante, traguardo personale, dall’altra la soddisfazione di aver compiuto quello che era il desiderio dell’artista: vedere le proprie opere all’interno di un catalogo che ne illustrasse la storia. Un’esperienza fondamentale per l’arricchimento culturale che mi ha lasciato e un ponte tra l’Università e la realtà del territorio, che mi ha permesso di mettere in pratica le competenze acquisite con dedizione durante gli anni di studio.

Ludovica Muratore

Università degli Studi di Firenze

I primi esperimenti

Il primo contatto assoluto con la materia avviene grazie all’assunzione presso la ditta Brilli di Montevarchi, nella quale Cino ha la possibilità di imparare a lavorare e plasmare a proprio piacimento i metalli. L’inizio della sperimentazione risale alla fine degli anni Sessanta, per continuare poi con differenti tentativi durante tutti gli anni Settanta. Le realizzazioni di questo momento iniziale testimoniano e confermano una radice figurativa nell’intera produzione artistica di Cino. Ogni soggetto richiama un’immagine diretta della realtà. Questa primissima fase di sperimentazioni tecnico-formali vede l’interesse di Cino rivolto verso la resa mimetica. L’intenzione è quella di trasmettere il soggetto dell’opera esattamente come lo si percepisce in natura, secondo una plasticità morbida e organica, aderente all’organicità di un corpo che vive: non sono ancora evidenti quei tentativi di rielaborazione della figura che caratterizzeranno le soluzioni tendenti all’astrattismo delle fasi successive della produzione artistica di Cino, sebbene gli anni Settanta sembrino aprire le porte a quelle che sono le opere più espressive della produzione di Cino: i corpi dei suoi personaggi perdono ogni tipo di caratteristica mimetica ed enfatizzano in maniera assoluta quella che è la gestualità, l’azione e la sensazione della scena rappresentata.

La sintesi Figurativa

La fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta vedono definirsi nelle opere di Cino una sempre più netta e riconoscibile cifra stilistica. Se l’inizio della sua produzione era caratterizzato da un’intenzione mimetica, il passaggio attraverso uno stile espressivo porta conseguentemente a quella che può essere definita una vera e propria resa sintetica, sia per la composizione che per la volumetria. L’artista continua la ricerca attraverso soggetti che, nella loro sintesi grafica, rimangono comunque ben identificabili dall’osservatore. Questa scelta di non abbandonare la rappresentazione figurativa trova sicuramente le sue radici nella passione di Cino per il disegno.

Volumetrie geometriche

Gli anni Ottanta rappresentano per Cino un vero e proprio momento di svolta. Le opere, che prima erano caratterizzate dal piccolo formato e da una spiccata sintesi formale, ora assumono le fattezze di grandi volumetrie geometriche che occupano distesamente lo spazio. Il soggetto, espresso da Cino in tutta la sua immediatezza, è definito da volumi plastici regolari, secondo uno stile che caratterizzerà le opere dell’artista in questi anni. Tutte le opere presentano analoghe soluzioni plastiche: i volumi del soggetto vengono espressi tramite porzioni piatte e di spessore minimo (lamine di ferro che variano in base al formato dell’opera) che si intersecano, si toccano tra loro, si incastrano per formare la figura. I volti non vengono rappresentati attraverso i volumi morbidi delle guance o del mento, bensì espressi con un ovale piatto; le gambe non mostrano le sinuosità del corpo, ma sono rappresentate tramite un rettangolo allungato. Di conseguenza il senso di tridimensionalità viene ridotto al minimo e l’impressione trasmessa all’osservatore è quella di trovarsi all’interno di un disegno, in un mondo bidimensionale. Le opere, pensate per essere osservate da più punti prospettici, si rivelano al pubblico tramite profili netti, rigidi e alle volte seghettati, puramente geometrici, che creano spiccati contrasti luministici.

Verso l'astrattismo

Dalla prima metà degli anni Ottanta, Cino ha ormai trovato un proprio stile artistico, ma a partire dalla metà degli anni Novanta l’artista inizia una nuova fase di sperimentazione, in cui la resa grafica tende all’astrattismo. Ciò pare del tutto evidente dal chiaro intento di abbandono del soggetto. In una serie di opere, Cino si concentra sull’indagine delle forme in relazione allo spazio e studia i contrasti luministico-chiaroscurali, ricorrendo anche a soluzioni operative polimateriche.

Personaggi e creature ‘astrali’

Gli anni Duemila rappresentano forse il periodo più fantasioso e stimolante nella carriera artistica di Cino: egli lavora la materia creando superfici piatte incastonate tra loro, suggerendo l’idea di grandi figure meccaniche. I volumi dei soggetti sono formati da piccoli elementi in ferro che rendono ogni scultura particolarmente spigolosa, dando luogo a profili frastagliati, fortemente connotati. Le opere di questa fase hanno tutte per soggetto personaggi di fantasia, esseri mostruosi e fantastici che Cino cura nei minimi dettagli a partire dai titoli, dove talvolta l’artista inserisce la parola ‘astrale’. Sebbene il motivo scatenante di questa particolare ispirazione non sia chiaro, è comunque evidente come l’artista abbia pensato alle sue creature come ad esseri appartenenti a un mondo fuori dal reale, un panorama astrale, in cui i suoi personaggi hanno una propria coerenza e interagiscono gli uni con gli altri.

Le ultime opere

Il percorso artistico di Cino volge al termine con la serie di opere dedicate al design e alle architetture. Queste sculture, articolandosi su sintagmi plastici minimali, dialogano con architetture contraddistinte da sagome lineari e moderne, esprimendo una complessa e articolata visione dell’artista. L’osservatore si trova dinnanzi a strutture composte da superfici levigate incastrate tra loro, che paiono richiamarsi a quello che è lo stile canonico di Cino, ovvero lastre che si intersecano l’una con l’altra creando grandi profili meccanici.

Alla fine del percorso artistico di Cino si possono ascrivere anche le ultimissime opere, che in qualche modo ripercorrono tematicamente l’intero arco della carriera dell’artista. Non esiste un vero e proprio fil rouge che riunisca queste sculture. Sembra quasi che Cino negli ultimi anni della sua vita abbia voluto ri-attraversare, a modo suo, come in un saluto finale, tutte le diverse fasi del lavoro svolto nell’officina. Così, in questa sorta di sintesi finale, l’artista trasporta lo spettatore nel suo mondo fatto di animali, creature immaginarie, geometrie astratte, passione per la corsa e mondi fuori dal reale. Cino intraprende la strada dell’ultima sperimentazione basandosi su forme e linee astratte, rimeditando le articolazioni plastiche di periodi precedenti. Nessuna delle opere di quest’ultimo periodo, tutte rinvenute in una parte dell’officina dedicata da Cino ai lavori più recenti, ha una datazione specifica, ma ben si collocano dopo la fase astratta. Le sculture abbandonano infine la tendenza alla resa polimaterica, tornando a privilegiare il ferro.